
Non c’è frattura, ma soltanto un intreccio di passato e presente che si ricompone in nuove visioni. Un ritratto diventa specchio, un’icona si fa contenitore, mentre la storia si scontra con il linguaggio del desiderio. Queste opere inseguono la tensione tra devozione e ironia dove uno sguardo rinascimentale incontra il culto della celebrità, dove il silenzio trattiene l’eco della moda e delle sue infinite reinvenzioni. Non una parodia, non un omaggio, ma un istante sospeso: un gioco tra bellezza e ossessione, luce e ombra, l’eterno e il fugace.
TESTO CRITICO
Lo sguardo è distratto, sintomo malato della percezione che scrolla in modo ormai compulsivo, saltabeccando in modo randomizzato, tra i diversi social, per cui la visione fluida e continua del consumatore orgiastico potrebbe persino non accorgersi che stiamo contemplando Billie Eilish con l’ermellino, un Modigliani griffato Vetements o il ritratto del Duca di Montefeltro che ha svaligiato un negozio di Prada. Questo dovuto alla scarsa scolarizzazione, sicuramente, ma anche all’assuefazione e all’indigestione quotidiana di materiale visivo. Ma tutto questo darsi da fare per interpolare dipinti Rinascimentali con icone e brands contemporanei, null’altro vuol dirci, oltre che testimoniare una capacità tecnica e tecnologica ben oltre la media, null’altro vuol dirci se non che siamo malati e perduti in un gioco trash & cult, ovvero cut & paste, un’ars combinatoria divertita e divertente, oppure un gioco tragico e mortale, dipende dai punti di vista. In ogni modo ci suona un campanello di allarme: qualcosa non funziona nel nostro sistema iconico interno e nulla sarà più come prima. Il marchio di fabbrica del Sistema della Moda di barthesiana memoria è ormai entrato nel nostro DNA e nulla potrà rimuoverlo. Il nostro presente ne ha fatto incetta e ora cerca di conquistare il nostro passato nobile. L’ossessione per le celebrities e per gli oggetti del nostro desiderio è la nostra “religio” e questa pulsione ci porta ad invadere come un virus i capolavori del passato (come diceva Burroughs, “language is a virus from outer space”). Il gioco delle permutazioni possibili è pressoché infinito: nel nostro caso in oggetto, ovvero Maxime Lacost che gioca col Rinascimento, ci manteniamo ancora sul bordo del buon gusto e di una raffinatezza esemplare.